A Biella il 19 ottobre presso il Liceo Sella alle ore 16 si parlerà di disturbi di alimentazione per sensibilizzare e discutere. “Purtroppo conosco il problema molto da vicino avendo una figlia con anoressia -commenta l’organizzatrice- e so quanto sia difficile trovare le persone giuste per iniziare un percorso di cura e non sentirsi soli a gestire le difficoltà”. Ecco il racconto di una mamma biellese e di sua figlia R. 17enne, le sue attuali e passate sofferenze, situazioni. angosce. Una testimonianza che ci tocca da vicino. Una malattia che a volte la si crede lontana anni luce e invece è proprio dietro l’angolo. (I nomi che leggerete sono inventati per mantenere la privacy della famiglia).
Una storia di vita, la realtà che nessuno vorrebbe vivere. Questo è il racconto di Paola. “Una mamma racconta…racconta una storia con un prima e con un dopo, dove la malattia di R., un disturbo del comportamento alimentare, fa da spartiacque. Il prima scriveva una famiglia numerosa in cui c’era gioia di vivere, caos, sorrisi, litigi, musi lunghi, risate, compiti, cene, montagne di biancheria da lavare, stirare, baci e coccole. Ad un certo punto, R. , la nostra secondogenita, decide di fermarsi, di non voler più crescere. E con lei si blocca tutto. L’anoressia arriva cosi, come un pugno nello stomaco. Ti accorgi che tua figlia ha un problema, di cui subito magari ti vergogni pure. Si, perchè è malattia mentale, perchè significa che non sei stata quella buona madre che pensi tanto di essere e che tutti credono. Si vede quel corpo ormai scheletrico che non sta né seduto né fermo un attimo, si vedono quegli occhioni grandi e tristi in quel musetto scarno che gridano aiuto. Difficile da ammettere, no? Eppure è così, e tu, dal momento che realizzi tutto questo non hai più pace, se non quei brevi attimi in cui crolli dalla stanchezza per poi risvegliarti di soprassalto con un dolore allo stomaco. Ho poi capito il suo nome: angoscia. Quando ti svegli inizi a pensare, pensare a cosa fare, cosa dire e soprattutto cosa non dire. Allora tutto si capovolge: il sollievo lo trovi nel sonno, quando c’è naturalmente. La vita reale è il tuo incubo peggiore. Mi do da fare, chiedo alla pediatra dove portare Renata e iniziamo le cure: psicoterapia con una psicologa che ha curato anche casi gravi. Dietologa e neuropsichiatra. Mi dicono che bisogna creare una rete per aiutare R. Certo! Peccato che a questa rete mancassero l’esperienza e la consapevolezza dei propri limiti. Ma questo lo scoprirò strada facendo. A questo punto penso che se mia figlia possa essere curata in zona, significa che non è poi così grave, no? Invece la malattia di nostra figlia ci ha messo a dura prova, mi ha reso una donna insicura. Sono infermiera anche se non lavoro più da molti anni, so come si aiutano i familiari dei pazienti, so quanto vadano tranquillizzati e seguiti, so come, spiegando loro la situazione, l’ansia si plachi. Noi invece in tutta questa maledetta storia non ci siamo mai sentiti aiutati. Facevamo le visite dove mai niente andava bene, e io a casa, da sola, dovevo vedermela con una figlia che mi odiava ma dovevo trovare un modo per farla mangiare. Mi è stato detto che dovevo stare calma, quando mia figlia arrabbiatissima saltava i pasti e stava ore in piedi sul balcone sotto il sole di luglio, faceva ginnastica compulsivamente o piangeva giornate intere chiusa in camera sua. Quante volte ho telefonato a questi professionisti a cui, tra l’altro, abbiamo sborsato fior di quattrini, fiduciosi senza MAI ottenere una risposta. Quante…Però io andavo avanti, come un caterpillar, sapendo quanto siano lunghe le cure e di dover portare pazienza. Ma non sapevo quanto si sarebbe spinta sul baratro mia figlia. Perdevo il sonno e perdevo tutto il resto della mia bella famiglia che in qualche modo cercava di stare a galla. Perchè R. aveva bisogno di me….ma ero sola, eravamo soli. E piena di rabbia perchè non capivo. Perchè si era ammalata così. Perchè mi sembrava di combattere mia figlia. Poi mi è stato detto che Renata doveva responsabilizzarsi, prendere consapevolezza della malattia. E come? Lasciandola a caduta libera?
Chiedevo una risposta alle mie mille domande, avevo bisogno di qualcuno che mi sostenesse, che mi facesse capire che non era R. da combattere ma l’anoressia, qualcuno che mi tranquillizzasse, che trasformasse la mia rabbia in un sentimento propositivo, in accudimento, amore e fermezza, qualcuno che mi aiutasse a capire perché mia figlia stava male così, a non sentirmi in colpa per la sua malattia, a non avere fretta di vederla star meglio, a lasciarle il suo tempo ma in sicurezza. Passavo le giornate su internet per cercare una soluzione: mia figlia era ossessionata dal cibo e io ero ossessionata dall’anoressia. Per caso, solo per caso, trovai la pagina web dell’associazione “MI NUTRO DI VITA” con un numero di cellulare e mi si è aperto un mondo.
Intanto però dopo due anni di cure superficiali per lei, tra cui anche un ricovero nel capoluogo piemontese, l’anoressia è diventata sempre più forte togliendo lucidità ed energia a R.. Ringrazio Stefano Tavilla per avermi fatto conoscere una dottoressa che è diventata il mio angelo, che ci ha indirizzato a professionisti con esperienza e competenza.
Ora, certo, R. è ancora ammalata, sta combattendo, ma abbiamo tutti un sostegno, un appoggio. Finalmente non mi sento più sola a curare la mia bambina. Vorrei tanto che storie come la mia si potessero evitare, vorrei tanto che i familiari, soprattutto, non si spaventassero e non provassero vergogna a chiedere aiuto per sé e il proprio figlio, ma in special modo vorrei che le cure per i disturbi del comportamento alimentare fossero uguali per tutti. Ma questa è un’altra storia…”
“Si ringraziano fin da ora il preside Gianluca Spagnolo per averci permesso di organizzare l’incontro al Liceo Sella, la professoressa Marchetti che ha fatto da tramite tra noi e la scuola e poi Stefano Tavilla, che da un dolore così grande come perdere la figlia è riuscito a creare questa associazione che oltre ad aiutare le famiglie lavora anche a livello governativo ottenendo l’istituzione della giornata del fiocchetto lilla, il 15 marzo, e l’introduzione, due mesi fa, di un codice lilla all’ingresso del pronto soccorso, con personale formato che sappia subito riconoscere i dca e intervenire velocemente. Infine ringraziamo tutti Voi che vorrete partecipare all’evento, a Biella il 19 ottobre al Liceo Sella alle ore 16”.
Fulvio Feraboli
Fonte: www.biellacronaca.it